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Agli albori delle epoche storiche, la percezione di un’attività umana definibile come pratica medica non fu immediata. La scorciatoia per raggiungere un qualche risultato tangibile era presente e già attiva in altre situazioni e realtà che non fossero la malattia e la morte: si trattava del rito magico. La magia permetteva la mediazione con il mondo iperuranico del divino, permetteva di conciliare la presenza di Dei, più o meno benevoli, che assistevano ed intervenivano nella vita degli uomini. La malattia costituiva un concetto nebuloso, un quid indefinito, perché non era possibile istituire un collegamento certo tra una causa ed un effetto, la malattia stessa, considerata come alterazione e cambiamento di uno stato di benessere biologico. Ammalarsi e morire potevano essere attribuiti ai più vari fenomeni naturali, come le variazioni climatiche, oppure ad inferenze le più improbabili e stravaganti, come formule magiche, incontri con animali o persone dotati di fama negativa e così via.
 
L’uomo primitivo associava la magia ad un miglioramento della sua condizione esistenziale, quando la utilizzava per propiziarsi una caccia fruttuosa o delle più favorevoli condizioni climatiche. La conoscenza empirica, basata sull’osservazione della Natura, sulla presenza di alcune piante o minerali capaci di influire sullo stato biologico e di influenzarlo favorevolmente fecero il resto, costituendo un bagaglio iniziale di nozioni ed esperienze, che permise per molti secoli a sciamani e stregoni di aiutare altri esseri umani a ridurre la sofferenza causata dalla malattia, attraverso l’uso di rimedi più o meno efficaci e della suggestione psicologica, accompagnata in certi casi a veri e propri stati di ipnosi e condizionamento. Come nella bella metafora di Dino Buzzati nel Deserto dei Tartari, il tempo accelera la sua percettività nelle diverse età della vita, fino ad assumere un andamento progressivo che permette di immaginare la propria esistenza come un percorso, un cammino tra un punto di partenza definibile, anche attraverso i racconti e la memoria di coloro che vi hanno assistito (ed è la nascita) e un punto di arrivo ineluttabile, una stazione ferroviaria a fermata obbligata, costituito dal termine della coscienza del proprio io.
Dobbiamo presumere che questa percezione di finitezza, questa sensazione di itinerario nel mondo del reale, dovesse essere presente nell’immaginario e nella ideazione umana fin dalle epoche preistoriche e protostoriche. I dipinti sulle pareti delle caverne eseguiti dall’Uomo di Cro-Magnon e le sepolture rituali, con la presenza di più o meno ricchi corredi funerari, stanno a dimostrarci che la morte e la causa o le cause che l’avevano provocata, meritava un rito, una delimitazione della propria presenza, che permettesse di vincere l’angoscia generata dal dolore e dalla consapevolezza del distacco e del non ritorno.
 
  La nascita della Medicina non può che collocarsi in questo punto, non può che essere concepita come uno sforzo di prolungare i termini dell’esistenza, riducendo l’impatto del dolore sulla vita dell’individuo ed allontanando il momento dell’addio. Il concetto di causa del cambiamento del  proprio stato esistenziale, si colloca quindi all’esordio stesso della pratica medica, come il fattore determinante di ogni direzione dell’agire. Si interviene per mutare una condizione di malattia dopo aver individuato la causa che la genera. L’individuo interagisce con  l’ambiente che lo circonda attraverso i suoi sensi e riconosce in alcuni eventi particolari modalità che provocano e sono responsabili del mutamento del suo stato di benessere. Il rimedio a tale perturbamento di stato è la cura, la ricerca e l’applicazione alla realtà che si presenta davanti al “medico” di un fattore che bilanci od annulli la causa della patologia. In questo senso anche una preghiera od un rito sono una terapia, anche la modalità di porsi del guaritore, il suo abbigliamento, la sua capacità di suggestionare l’essere umano malato con cui interagisce, la sua capacità di ascoltarlo e d’interpretare in modo corretto i suoi bisogni, rivestono un compito ed un’efficacia variabile a seconda dell’abilità del terapeuta stesso.



La Medicina Moderna nasce nel XIX Secolo dall'incontro del Metodo Sperimentale, ideato da Fancis Bacon, Galileo Galilei ed Isaac Newton per le Scienze Fisiche, con la realtà costituita dalla ricerca biomedica, che non può evitare di confrontarsi, in quegli anni, con le "verità" sperimentali fornite dalla fisica e dalla chimica. Inoltre, nei primi decenni del 1800, vengono risolti i problemi tecnici che affliggevano le lenti dei microscopi, incapaci di spingersi senza alterazioni e distorsioni cromatiche oltre pochi ingrandimenti. Con l'appoggio della Filosofia Positivista, il medico inizia a studiare la Natura con una consapevolezza ideologica più determinata e meno timorosa del condizionamento religioso e con una diversa e più efficace disponibilità tecnica di indagine.
Filosofia e Medicina dovrebbero sempre essere considerate come due materie complementari. Sembra impossibile poter studiare il corpo umano e cercare di comprendere le modificazioni che questo attraversa durante la sua vita senza cercare di comprendere come la coscienza dell'uomo stesso si ponga davanti ai problemi di fondo della sua esistenza. Questa separazione artificiosa, nata sul finire del Secolo XIX, ha provocato più di un guasto nel rapporto tra l'uomo ed il suo corpo e, soprattutto, nel modo con cui il medico affronta quella realtà ineludibile determinata dall'esistenza certa della malattia e della morte.
 
I successi raggiunti nel prolungare i termini della vita biologica degli esseri umani non sempre hanno avuto un corrispettivo in una migliore e più consapevole comprensione del prezzo a cui erano stati ottenuti. Spesso il superamento di alcune difficoltà tecniche, che hanno permesso di guarire da malattie importanti, è stato considerato come l'unico risultato veramente degno di nota. Si è invece trascurato di osservare come l'avanzamento delle conoscenze in determinati campi della salute e solo per determinate Nazioni o Popolazioni, potesse estendere il territorio dell'ineguaglianza e dell'ingiustizia.
 
 
I testi che state per leggere intendono promuovere una maggiore consapevolezza dei rapporti che intercorrono tra le Scienze Biologiche, la Medicina e la Filosofia. L'antidoto al senso di estraneazione e di impotenza, che colpisce molti operatori sanitari, può trovare una sua ragionevole risposta nello studio del processo conoscitivo che ha portato al costituirsi della Scienza e del Sapere scientifico e, di converso, a quella sua forma e parte, di originale natura e finalità, che è data dalla Medicina.
 
L’idea di portante di queste pagine web è quella di costruire uno spazio di divulgazione e di confronto tra chi non si rassegna ad un’evoluzione puramente tecnocratica della Medicina. Si intende pertanto diffondere il dibattito filosofico sui costituenti e i motivi di fondo della medicina. Un dibattito aperto ai contributi interdisciplinari di chi vorrà arricchirlo con la sua esperienza e cultura anche in discipline scientifiche diverse da quella medica.
 
 
Copyright: © 2008 Federico E. Perozziello
 

 


 
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